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Basta con la crisi è l'ora della ripresa

di Renato Brunetta

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13 giugno 2009

Gli analisti in tutto il mondo s'interrogano sui tempi della ripresa. La recessione sta decelerando? Siamo vicini alla risalita? Le risposte non sono omogenee e soprattutto sono molto volatili. I governi si pongono le stesse domande. Ma, a differenza degli analisti, i governi sono chiamati a influire su queste previsioni e quindi a dare risposte condizionate, cioè in parte dipendenti dalle politiche messe in atto. In parte, perché l'effettiva capacità dei governi d'influire sulla crescita economica è scarsa, soprattutto per quella di lungo periodo.
È maggiore la capacità d'influenzare la congiuntura, soprattutto se essa è di tipo asimmetrico, se cioè colpisce un singolo paese o un'area del mondo. Ma è limitata se la recessione è globale, come nel caso che stiamo vivendo, e se, com'è il caso dell'Italia, il paese è una piccola economia aperta, fortemente integrata nei mercati internazionali. Non si tratta di una premessa per l'inazione della politica, ma al contrario per una lettura oggettiva dei dati della recessione al fine di condizionarne, per quanto possibile, l'evoluzione futura con politiche appropriate.
I dati, anche quelli appena forniti dall'Istat relativi al primo trimestre dell'anno in corso sul Pil e le sue componenti di domanda, ci dicono che la recessione è grave, ma è nell'ordine delle recessioni conosciute negli anni 70. I dati confermano che l'Italia sta subendo l'impatto della crisi mondiale attraverso due canali principali: il collasso del commercio internazionale e la crisi finanziaria che ha determinato un restringimento del credito. Questo impatto si legge, nei dati congiunturali italiani, nella caduta delle esportazioni, conseguenza del crollo della domanda mondiale, e nella forte flessione degli investimenti, scoraggiati dall'incertezza sulla domanda futura e frenati dalle difficoltà di finanziamento. Nei dati si legge anche l'effetto del ciclo delle scorte che accentua la flessione della produzione nelle fasi di riduzione della domanda.
I governi, presi singolarmente, possono cercare d'influenzare la domanda interna, cioè i consumi e investimenti interni, non quella estera. I consumi delle famiglie sono certamente diminuiti, ma in misura limitata tenuto conto dell'ampiezza della recessione. Negli ultimi tre trimestri di recessione essi hanno contribuito per meno di un quarto alla flessione del Pil, pur rappresentando la componente di maggior peso della domanda interna. La relativa tenuta dei consumi è spiegata dal fatto che i cosiddetti redditi fissi, cioè i redditi rappresentati da salari e pensioni, non sono colpiti dalla crisi, ma sono previsti al contrario crescere in termini reali grazie alla flessione del tasso d'inflazione.
Evidentemente sono colpiti dalla crisi, tra i lavoratori dipendenti, coloro che perdono il lavoro e coloro che usufruiscono della cassa integrazione. Gli stanziamenti del governo per il sostegno di questi redditi sono stati fondamentali, non solo per un dovere sociale inderogabile dello Stato, ma per impedire la caduta della propensione al consumo. Se questa caduta non c'è stata è perché, di fatto, si sono ridotti, a causa della recessione, gli altri redditi, che sono principalmente i redditi da lavoro autonomo e altri redditi vari da capitale. È difficile dire quanti dei percettori di questi redditi siano soggetti a vincoli di liquidità, cioè non siano in grado di mantenere inalterati i propri consumi di fronte a una flessione temporanea dei propri redditi, anche perché gran parte delle famiglie percepisce contemporaneamente redditi di vario tipo. Tuttavia è certo che per una parte non trascurabile di essi è possibile non ridurre i consumi proporzionalmente. Non lo è invece per molte altre fasce di lavoro autonomo, più deboli, soprattutto per i tanti giovani e meno giovani che lavorano con contratti temporanei.
Ma, si è detto, il governo è tenuto a far seguire l'azione alle analisi dei fatti. Fino ad oggi esso ha compiuto il suo dovere sui due fronti principali di impatto alla crisi. Ha stanziato fondi sufficienti a garantire sicurezza ai redditi di quei lavoratori dipendenti che vengono colpiti dalla flessione produttiva. Al tempo stesso, e come prima azione, ha offerto il sostegno necessario al sistema bancario italiano per superare difficoltà temporanee e garantire il risparmio degli italiani, bloccando così l'insorgere di situazioni di panico. Siamo ora entrati in una fase cruciale in cui si tratta di sostenere l'attività produttiva e la domanda interna per tre o quattro trimestri in attesa che riparta il ciclo mondiale.
Ciò è necessario per tre motivi connessi tra loro. Il primo è che occorre impedire che cresca il costo sociale ed economico rappresentato dalla perdita di posti di lavoro o dalla riduzione delle ore lavorate. È preferibile, per quanto possibile, usare le risorse per creare o mantenere posti di lavoro che per sostenere i redditi di chi perde il lavoro, e questa strategia sarebbe favorita qualora si confermasse una dinamica dell'assorbimento di risorse per gli ammortizzatori sociali inferiore a quanto, per sicurezza, stanziato dal governo. Il secondo è che è necessario mantenere e rafforzare la capacità produttiva per poter cogliere la fase di ripresa. Il terzo è che bisogna stabilizzare gli altri redditi non da lavoro dipendente colpiti fortemente dalla crisi, soprattutto quelli delle fasce più deboli, e impedire che aumentino le difficoltà di accesso al lavoro per le nuove generazioni.
  CONTINUA ...»

13 giugno 2009
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